giovedì 7 ottobre 2010

LE FAVOLE

                                                     LE  FAVOLE 

Quando non andavo al cinema, zia lina per tenermi buona mi raccontava le sue favole. Le mie sorelle, certe sere, ogni tanto, andavano al cinema con le amiche e i loro ragazzi, e non volevano che una mocciosetta come me ronzasse loro attorno; io capivo bene che erano dirette al cinema, avevo afferrato le loro mezze parole, i loro sussurri, avevo visto i loro preparativi. L’aria tutt’intorno puzzava di cipria e profumi, di lacca e rossetti, fruscii di sottane, tacchettii di tacchi a spillo, e loro due pronte, prima dell’imbrunire, tutto ciò si chiamava cinema. 
E zia Lina era la consolatrice dei miei pianti: ti cuntu un cuntu! Il suo dialetto, ingentilito  dalle scuole elementari, cominciava sempre così, ed io mi racconsolavo.
Dentro la sua testa, una miriade di favole, sfarfalleggiavano pronte a venire fuori; erano una e tante, ed una più bella dell’altra; e quella sua parlata lenta e suadente piano piano mi faceva entrare dentro la magia di quel mondo fatato.
Un mondo mostruoso dove il sortilegio e la crudeltà, il sadismo e le azioni truculenti, regnavano sovrani; le sue favole non le aveva imparate dai libri, e non erano quelle che ti insegnavano a scuola.
 Queste erano favole strane che le erano state raccontate da bambina, da sua nonna e dalla nonna di sua nonna.
Nelle sere, le comari del vicinato se le erano sussurrate; aleggiavano fuori dai crocchi delle ragazze che, chine sulle stoffe da ricamare, con gli occhi dei sogni seguivano il filo dei loro desideri.
C’era una marea di favole pronte ad asciugare ogni mia lacrima.
E lei cominciava con calma e con indifferenza, come stesse parlando di cose comuni o dei fatti del giorno, quel suono ipnotico e tumultuoso mi faceva entrare dentro gli incanti di quel mondo fatato. Si scioglievano dentro la sua bocca legami di fuoco, principi e cavalieri dalla giostra dei suoi denti scivolavano giù, con spade intrise di sangue correvano verso inimmaginabili pericoli, bellissime pastore scivolavano dal velluto della sua rosea lingua per adagiarsi su campi di verde smeraldo, con verghe fiorite guidavano il loro gregge e l’ira funesta dei maghi intrideva d’orrore l’ameno paesaggio.
Appena nati, innocenti pargoli, venivano immolati su statue di candido marmo; e intanto che il sangue dei bimbi, ancora di un rosso rosato, scorreva lungo le pieghe della dura pietra, freddi brividi serpeggiavano sulla mia schiena e voci lontane parlottando tra loro sussurravano scene d’ordinario orrore: neri cavalieri, draghi sputafuoco, e striscianti serpenti pregni di velenosa malia; per tre notti, essi avrebbero ucciso la bella pastora. Per chi avesse ascoltato, e per chi avesse riferito, ad esso erano rivolte le parole del suo futuro: statua di marmo diventerai!
E chi avrebbe ucciso? quale re avrebbe sacrificato i suoi piccoli figli innocenti.
L’amico del suo cuore, quello che uccide tutti i pericoli, quello che accusato di terribili infamie sarà condannato a rivelare quei segreti che: statua di marmo diventerai!  E il sangue scorre sulla fredda pietra e la scalda, la impregna fino a quando la vita passa dai fanciulli all’amico e per magia ritorna agli infanti, per vivere, alla fine, tutti  felici e contenti.
Come i grani di un brillante rosario, le favole di zia lina continuavano ad intessere argentee trame dentro al limbo del miei sogni.
Quale fanciulla si sarebbe arrampicata sopra un immenso ammasso di montagna impastata di aguzzissimi vetri taglienti, cosparsi di biondo viscido sapone. La montagna di notte, alla luce della luna, saettava fredde lame d’azzurro intersecate da biondi bagliori. E lei, lacera e ferita, dopo essere arrivata in cima, ecco che il ghigno del mago l’avrebbe precipitata giù ! e di nuovo a scalare la montagna, per tre volte, e per tre volte sarebbe stato messo alla prova il suo coraggio, ma come si sarebbe potuta superare una montagna così tagliente se non con la forza dell’ amore per un principe che, biondo ed azzurro, attendeva nei sogni di perse fanciulle.
Ed io continuavo a sognare, a volere racconti su racconti, la cucina stendeva le sue pareti, si allargava, diventava enorme. I bollori delle pentole, i fumi dell’acqua, le vampe dei fornelli, tutto rumoreggiava sinistramente, dalle bocche spalancate delle credenze, sghignazzavano tazze e bicchieri, rimandando luccicori sinistri.
 Le posate rumoreggiavano dentro le sue mani nel cozzare delle armi, e l’acqua scrosciando precipitava profondamente nel lavello, cercando di affogare fanciulle ed eroi che, persi tra boschi di cavoli e cuori di lattughe, affrontavano gli enormi draghi dalle lunghe corna che come lumache portavano addosso un groviglio di squame. Lunghi vermi colorati, e infiniti mostriciattoli, tra una foglia e l’altra nascondevano il loro vero essere di maghi e megere. Ai raggi del sole morente, sui rossi sanguigni dei neri tramonti, lì si accoppiava il cuore della favola, il mistero misterioso che ancora insidiava la vita degli eroi; e quando zia lina nel buio più pesto accendendo la luce, risvegliava la sua natura umana, i cattivi erano già stati puniti e i principotti potevano finalmente fondersi dentro il dolce sapore del te che inzuppava i miei biscotti.


1 commento:

  1. Vedo che i racconti continuano.. brava!
    Bello come lo hai fatto adesso... chiaro e leggero!
    Complimenti!
    Ciao!

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